La squadra camminava, il Palermo correva.

E da quella distanza mentale, prima ancora che fisica — nasce tutto.

Il Pescara ha iniziato provando a reggere l’urto, qualche minuto di coraggio, due buone idee, un tiro dalla distanza di Dagasso. Poi il buio.

La squadra si è spenta come se qualcuno avesse staccato la corrente: linee spezzate, ritmo nullo, reazioni assenti.

La difesa è colata a picco  Brosco e Corbo spaesati, Capellini in balia, Letizia crollato dopo un buon inizio.

A centrocampo, Valzania e Caligara mai nel vivo, Brandes impreciso, Dagasso l’unico a provarci con la lucidità di un veterano.

Davanti, Di Nardo a lottare da solo contro il mondo.

Vivarini osservava, ma la scossa non arrivava.

E il Palermo, dall’altra parte, volava: intensità, pressing alto, fame, convinzione.

Ogni pallone conteso era una battaglia vinta in anticipo.

Ogni ripartenza, un colpo di lama che faceva sanguinare una difesa ormai allo sbando.

Il 5-0 non è frutto del caso. È il risultato di una differenza enorme in voglia, ritmo, determinazione.

E non basta dire “partita da dimenticare”. No, questa va ricordata, analizzata, digerita fino in fondo.

Perché solo chi affronta il dolore può trasformarlo in crescita.

Il Pescara non può permettersi di camminare in un campionato dove gli altri corrono.

Chi indossa la maglia biancazzurra deve portarla con orgoglio, anche quando tutto sembra perduto.

Si può perdere, ma non si può mai rinunciare a lottare.

E in una serata così amara, un applauso sincero va fatto:

ai 25.000 del Barbera, un pubblico straordinario, caldo, corretto, trascinante.

Hanno spinto il Palermo dal primo all’ultimo minuto, creando un’atmosfera che oggi nel calcio italiano si vede raramente.

Chapeau a loro.

Ora tocca al Pescara dimostrare di avere ancora il cuore per rialzarsi.

Perché la storia biancazzurra non è fatta per chi cammina.

È fatta per chi, nonostante tutto, torna a correre.

Sezione: Copertina / Data: Dom 02 novembre 2025 alle 00:18
Autore: Antonio Iannucci
vedi letture
Print