Ci sono partite che ti lasciano addosso la sensazione di vuoto. Non solo per il risultato, ma per quello che ti costringono a vedere: una squadra smarrita, fragile, senza identità. È in quei momenti che la mente corre indietro, verso stagioni in cui il Pescara non era solo una squadra di calcio, ma un motivo d’orgoglio, un rito collettivo che univa la città. Chi ha vissuto gli anni di Pagano, Rebonato e Berlinghieri sa bene cosa significhi. Erano anni in cui la maglia biancazzurra profumava di battaglie, di leggerezza e di gol. Anni in cui l’Adriatico ribolliva non solo per la passione della curva, ma perché in campo c’erano uomini capaci di incendiare la folla con un gesto, una giocata, un guizzo.
Pagano, il numero 7 che accendeva i sogni
Pagano non era solo un’ala destra: era un artista. Con il numero 7 sulle spalle, danzava sulla fascia con la leggerezza di chi non conosce il peso della paura. Una finta secca, una serpentina, e l’uomo era saltato. Bastava un suo tocco e l’aria all’Adriatico cambiava: gli spettatori trattenevano il fiato, pronti a esplodere in un boato.Indimenticabile il suo modo di entrare in partita: i primi minuti sembrava quasi studiarti, poi all’improvviso la magia. Una sovrapposizione, un dribbling impossibile, un cross che diventava poesia. Era il calcio che non guardavi con gli occhi, ma con il cuore.
Rebonato, il 9 che viveva per il gol
Al centro dell’attacco c’era Rebonato, numero 9, il bomber che ogni città sogna di avere. Non era elegante, non cercava la bellezza fine a se stessa: cercava la porta, sempre. Un colpo di testa, una zampata, un rigore calciato con rabbia: ogni pallone che transitava in area diventava una minaccia. Lo ricordi quel gol al Bologna? Un colpo sotto la traversa al volo su passaggio di un certo Gasperini, che fece esplodere la curva ospiti del Dall'Ara interamente occupata dai pescaresi. Per giorni non si parlò d’altro in città. Rebonato non era solo un attaccante, era la sicurezza che Pescara avrebbe avuto sempre un’arma in più. Con lui in campo, si poteva sognare.
Berlinghieri, l’11 che incendiava la sinistra
Sull’altra fascia correva Berlinghieri, numero 11, l’ala sinistra che completava la poesia. Veloce, imprendibile, con la capacità di saltare l’uomo nello stretto e di aprire spazi che sembravano chiusi. Era l’imprevedibilità allo stato puro. Celebre la sua cavalcata a San Benedetto,prese palla nella propria metà campo, saltò due uomini per poi lasciare la sfera a Rebonato che la trasformò in gol. Due magie in un’unica azione, due firme su una pagina che resta nella memoria.
Berlinghieri era il lampo che costringeva la curva ad alzarsi in piedi. Era la certezza che da un momento all’altro qualcosa sarebbe successo.
Il Pescara che ti faceva correre allo stadio.Quel Pescara era fatto di uomini, non di figurine. Non c’era bisogno di proclami o di scuse: c’era la concretezza del campo, la gioia del gol, la sofferenza condivisa.
Andare allo stadio non era una scelta: era un obbligo del cuore. Si andava all’Adriatico con la certezza che avresti visto spettacolo, lotta e orgoglio.Era un calcio che scaldava, che ti lasciava la voce roca e il cuore gonfio di emozioni.
Oggi? Un Pescara senza poesia
Una squadra che arriva da quattro anni di Serie C, e che non ha ancora la mentalità per vivere la B. Ragazzi giovani, promesse acerbe, errori che pesano come macigni. È un Pescara che non emoziona. Che non ti costringe a correre allo stadio con il cuore in gola, ma ti lascia il dubbio se valga la pena.
Il pubblico, custode della memoria
Sugli spalti, invece, nulla è cambiato. La curva continua a cantare, a resistere, a ricordare cosa significhi amare questi colori. Ma Pescara è una città particolare: va allo stadio solo se si esalta.E senza eroi, senza emozioni vere, anche il pubblico rischia di spegnersi.
L’entusiasmo che riempì l’Adriatico negli anni di Pagano, Rebonato e Berlinghieri non era solo tifo, era appartenenza, ricordo ancora i treni speciali con cui raggiungevamo le trasferte. Oggi quello spirito sopravvive solo nella memoria di chi c’era.
Romantica nostalgia, crudele realtà
Il Pescara di Pagano (7), Rebonato (9) e Berlinghieri (11) era un romanzo scritto con i piedi. Era poesia, era orgoglio, era identità.
Il Pescara di oggi è cronaca amara: limiti tecnici, fragilità mentale, errori che bruciano.
Il paragone è duro, forse ingeneroso, ma inevitabile. Perché solo guardando a quel passato luminoso capisci quanto il presente sia povero di anima.Quel Pescara ti costringeva a correre allo stadio, con la certezza che avresti visto emozioni. Questo Pescara ti lascia solo amarezza e rimpianti.
Il passato ci ha insegnato a sognare. Il presente ci costringe a resistere.
E la domanda resta sospesa, come un coro mai finito. quando torneremo a vivere il calcio, non solo a guardarlo?
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Autore: Antonio Iannucci
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