Dopo settimane di parole, rimpianti e promesse non mantenute, la società ha scelto di cambiare.
E, per quanto doloroso, è difficile dare torto a chi ha preso questa decisione.
Un progetto mai decollato
Quando Vivarini è tornato sulla panchina biancazzurra, l’idea era chiara: costruire un Pescara giovane, aggressivo e con una precisa identità tattica.
Un progetto che doveva unire il talento dei ragazzi in rampa di lancio alla solidità di qualche veterano di categoria.
Sulla carta, un equilibrio possibile.
Sul campo, invece, un mosaico mai completato: troppo spesso slegato, prevedibile, privo di quella fame che a Pescara non è mai mancata.
Mercato sbilanciato, identità smarrita
Il mercato estivo aveva lasciato già qualche perplessità: innesti interessanti ma senza un filo logico.
Una squadra con tanti esterni e pochi riferimenti centrali, con centrocampisti dalle stesse caratteristiche e difensori adattati.
Vivarini ha provato a cucire un vestito tattico a tre, poi a quattro dietro, poi di nuovo a tre.
Ma nessuna formula ha restituito stabilità.
Ogni scelta sembrava un esperimento, e ogni esperimento una rinuncia.
Scelte di formazione e assenza di coraggio
Il tecnico abruzzese, uomo di calcio serio e preparato, ha però pagato il suo limite più grande: la paura di osare.
Troppo spesso i giovani più pronti sono rimasti in panchina.
Troppo spesso si è scelto l’esperienza al posto del rischio.
E in Serie B, dove ogni partita è una battaglia di nervi, il Pescara è sembrato più un gruppo intimorito che una squadra convinta.
Gli episodi non mancano: la gestione alternata di alcuni giocatori, l’assenza di un modulo stabile, i cambi tardivi e i gol subiti sempre nello stesso modo.
Tutti segnali di una squadra senza più certezze e di un tecnico rimasto solo, stretto tra le proprie convinzioni e i risultati che non arrivavano.
Il peso della classifica
Otto punti in dieci partite, penultimo posto e un calendario che non promette sconti.
Troppe volte il Pescara ha dato la sensazione di non crederci, di giocare più per dovere che per orgoglio.
E questo, in una piazza come Pescara, è un peccato capitale.
La tifoseria ha aspettato, ha sperato, ha anche difeso.
Ma la squadra non ha mai dato il segnale che serviva.
Un cambio inevitabile
E così, dopo la sconfitta con il Monza, è arrivata la decisione.
Un esonero annunciato, più per logica che per emozione.
Perché un progetto tecnico può fallire, ma ciò che non può mancare è il coraggio di reagire.
E Vivarini, alla fine, quel coraggio l’ha smarrito.
Adesso tocca alla società restituire identità a un gruppo fragile ma non morto.
Sarà compito del prossimo allenatore ricostruire non solo un modulo, ma una mentalità.
Perché il calcio a Pescara non è mai stato solo questione di punti, ma di anima.
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