Ne ha visti, Pescara, di calciatori sopraffini e tecnici dalla testa fina, di tempeste ormonali per il calcio e stalli di passione, di sere nere e albe accecanti. Sempre lì nel limbo, come fosse troppo grande per la Serie B e troppo piccola per la Serie A. «Ne voglio uscire, perché questa è la mia città e io ci tengo», si accalora Leone. Lui la conosce, lui la giudica. «Pescara ha bisogno di entusiasmo. Io la chiamo la piccola Napoli. Ho appena compiuto 48 anni, ero bambino quel giorno del 1979 quando andarono in quarantamila a Bologna per lo spareggio promozione, roba mai più vista in Italia. E ho vissuto le giornate in cui c’erano solo duemila persone allo stadio». Un amore profondo che diventa schizofrenico, una voglia di fuggire dal limbo. A Pescara desiderano diventare un modello, anzi contano di esserlo già ora con questa gestione che ha cancellato il carico di debiti. E ha anche ricostruito dopo due stagioni di patimenti una squadra in grado di osservare più la distanza dal traguardo che le ombre alle sue spalle: con i vecchio Fiorillo, Campagnaro, Balzano, il capitano Brugman; il rientro di Memushaj; i nuovi Machin o Mancuso, e tutti gli altri. Sono tornate le certezze. Certo, non di sole certezze vive il tifoso. Qualche volta vuole guardare il mare con gli occhi di Zeman.

Sezione: Focus / Data: Sab 17 novembre 2018 alle 16:00 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Redazione TuttoPescaraCalcio / Twitter: @tuttopescara1
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